In un contesto socioeconomico e culturale sessista è troppo facile responsabilizzare le donne
Domenica, 24 settembre sono stata al Festival della Partecipazione a Bologna, si è discusso della sindrome dell'impostore.
Un termine che abbiamo imparato a conoscere e, avendo il privilegio di confrontarci spesso con tante donne intelligenti, competenti e brillanti, ho la sensazione che sia diventato un nuovo "MUST HAVE", sostituendo l'ormai superato multitasking. Dopo anni di celebrazione della fantomatica inclinazione naturale femminile a prendersi cura di tutto, di tutte e di tutti, la sindrome dell'impostore è emersa come un modo per bilanciare le aspettative.
Sebbene sia un fatto concreto che il fenomeno dell'impostore si manifesti più spesso tra le donne, il sentimento di inadeguatezza, la certezza di essere una frode e la difficoltà nel ricevere i complimenti non sono difetti di fabbrica femminili. Allora, perché continuiamo a descriverlo come se lo fossero?
In passato, siamo uscite dall'ambiente domestico per entrare nel mondo del lavoro, ma nessuno è entrato in casa per condividere le responsabilità domestiche. Poi, con il GIRL POWER, ci hanno promesso che bastava lavorare duramente e credere in noi stesse per raggiungere i più alti obiettivi. Ma, ridimensionando una porta apparentemente spalancata, si è scoperta una nuova falla femminile che, dicono, impedisce le donne di raggiungere i propri obbiettivi:
"Non ti sentirai mai all'altezza, e peggio ancora, ti sentirai in colpa per non sentirti all'altezza. Anzi, anche se ti senti all'altezza, non dovrai dimostrarlo perché sarebbe considerato arrogante per una donna."
Il movimento di empowerment femminile concentrato sulla determinazione delle singole donne non ha mai ottenuto risultati strutturali di giustizia sociale. Quando parliamo di sindrome dell’impostore, buttando tutto sulla mancanza di auto stima femminile invece di considerare il contesto socioeconomico e culturale che ancora esige che le donne incarnino il ruolo della madre, della donna per bene e di bella presenza siamo punto a capo, guardando il dito e non la luna.
Inoltre, affrontare la questione in modo individuale, con il mantra "credi in te stessa," equivale a stimolare ulteriormente la competizione tra le donne e la retorica del merito. Si dimentica che per ogni donna che cerca di credere nelle proprie capacità, c'è un recruiter che le chiederà se ha intenzione di avere figli, un capo che allunga la mano in una riunione o un giornalista che sceglie di commentare l’outfit invece di riconoscere le competenze professionali delle donne.
Non si può negare che le sensazioni descritte siano di fatto condivise da molte donne e lavorare sulla consapevolezza femminile è un percorso fondamentale. Ma invece di limitare il fenomeno alle mancanze (di autostima, di ambizione, di intraprendenza) , chiamandola "sindrome dell'impostore" preferisco utilizzare una parola che si legge raramente da queste parti: patriarcato.
Grazie a tutto il team di Cittadinanzaattiva per avermi invitato a condividere le mie idee sulla tematica insieme agli interventi di Annalisa Monfreda, giornalista e founder di Diagonal e Rame, Roberta Bortolucci consulente aziendale su Gender e Diversity Management.
Io sono Karen Ricci, consulente per la parità di genere e DE&I, autrice, content creator e podcaster contattami per una chiacchierata: caraseimaschilista@gmail.com