Le nuove generazioni si e non dovrebbe sorprenderci.

Se pensi che questa affermazione sia uscita da un magazine degli anni ’50, sbagli.
Questa idea è appoggiata dal 56,4% degli/le 11-19enni, secondo l’ultima ricerca ISTAT sugli stereotipi di genere nelle nuove generazioni.
Di tutti gli stereotipi di genere citati nella ricerca, quello che emerge come più incisivo è proprio quello legato all’aspetto fisico come valore femminile.
Se sul fronte della violenza relazionale, della distribuzione del carico domestico, dell’importanza del lavoro i dati spaventano meno, è evidente che la bellezza continuerà a essere un conto da pagare alla società anche dalle giovanissime.
Ma perché, nonostante tutti i passi in avanti verso l’emancipazione femminile, la pressione estetica continua ad avere un peso così grande nelle vite delle donne?
Tralasciando l’evidente obiettivo economico dell’industria della bellezza, che si fonda sull’insoddisfazione perenne verso il proprio aspetto fisico, c’è anche il fattore controllo.
Non solo un controllo esterno: è autoinciso, edulcorato con la promessa di felicità e piacere.
Ci avevano provato con la maternità (e continuano a farlo).Per molto tempo ci hanno venduto l’idea che essere madre fosse il paradiso in terra, l’unico modo per essere felice, finché i racconti della maternità reale non hanno iniziato a scalfire quell’immagine perfetta.
Oggi quella promessa convince sempre meno donne.Ma con la storia della bellezza non ne usciamo. La narrazione si trasforma, ma ci caschiamo ogni volta:
“Non lo faccio per estetica, ma per sentirmi bene.”
“Il self-care è un momento per me stessa.”
“Non mi interessa cosa pensano gli altri, lo faccio per me.”
E nel mentre continuiamo a consumare prodotti estetici che promettono la pelle senza rughe, acquistare programmi di allenamento miracolosi da 28 giorni, scegliere vestiti che nascondano la pancia o quel braccio che non ci piace, decidere cosa mangiare non in base al gusto ma alla categoria alimentare (carboidrati no, proteine sì!).
Non soltanto spendiamo tempo, soldi ed energia ad autocontrollarci, ma crediamo di farci del bene. E forse anche proviamo piacere.
Ma è un piacere legato all’assoluzione: uffa, ho pareggiato i conti, ho fatto il mio compito per dribblare la bruttezza, la grassezza, la vecchiaia.
Come possiamo pensare di liberare le nuove generazioni dalle gabbie della femminilità imposta, se noi siamo ancora immerse fino al collo? Loro ci guardano. E se vedono donne adulte ancora ossessionate dal peso, dalla pelle, dalla pancia da nascondere quel futuro “più avanti” non esisterà. Rimarrà solo una catena culturale che continuiamo a lucidare e passare di mano in mano.
Ma possiamo provare a interrompere questo flusso riflettendo su quali meccanismi agiscono per tenerci dentro questo loop.
Chiederci chi ha deciso che la bellezza sia un valore fondamentale per una donna, con quali interessi e chi davvero ci guadagna da questo gioco.
Spoiler: di sicuro non siamo noi.
Karen Ricci